domenica 2 aprile 2017

Addio a Evtushenko, il poeta dai mille volti


È morto a 84 anni nella sua casa americana l’intellettuale sovietico più celebre e controverso, fu dissidente e cantore del regime

Evtushenko posa nella sua casa di Tulsa in Oklahoma negli Stati Uniti, nel 2007 Il poeta russo è morto ieri all’età di 84 anni
In Russia un poeta è più di un poeta». L’incipit del poema del 1965 La centrale idroelettrica di Bratsk è stato forse il verso più famoso di Evgheny Evtushenko, il suo manifesto poetico e il suo programma di vita. La morte del poeta, nell’ospedale di Tulsa, Oklahoma, dove insegnava dal 1991, ha già riacceso la polemica che l’ha accompagnato per tutta la vita. Per i suoi ammiratori, russi e occidentali, è il più grande poeta russo del dopoguerra, l’erede di Majakovskij e Pasternak (accanto al quale ha voluto venire sepolto), un eroe del dissenso, un Nobel mancato. 
Per i suoi critici è un abile assemblatore di prolissi versi di attualità, un narcisista vanitoso e avido di riconoscimenti, un ambiguo servo del potere e, forse, anche un informatore del Kgb. Ma sicuramente è stato molto più di un poeta, e la sua morte, a 84 anni, mentre si preparava a celebrare con una tournee nei Paesi dell’ex Urss che doveva iniziare dal Palazzo dei congressi del Cremlino, chiude forse per sempre un’epoca in cui in Russia i poeti erano politici, modelli da imitare, rock star, dispensatori di verità e distruttori di regimi.
Nella sua dacia di Peredelkino, il famoso villaggio degli scrittori ormai inglobato nella metropoli, tra cimeli come disegni di Chagall e Picasso, c’è anche un ritratto di Evtushenko a opera di David Siqueiros, con una dedica che forse è il miglior riassunto del personaggio: «Questo è uno dei mille volti di Evtushenko. I rimanenti 999 li dipingerò un’altra volta». In 70 anni di letteratura Evghenij Aleksandrovich Evtushenko ha scritto migliaia di righe in versi e prosa, spaziando a 360 gradi tra argomenti e stili: poesie d’amore, poemi autobiografici e storici, canzoni e racconti. Ha girato e interpretato film, dipinto e fotografato, dedicandosi a ogni argomento: donne, politica, guerra, storia, con una facilità di componimento che gli permetteva di apparire in prima pagina della Pravda, accanto all’editoriale. Ha scritto di Cernobil e dell’Afghanistan, della crisi di Cuba e della perestroika, di Stalin e di Gorbaciov, spesso con punti di vista opposti sullo stesso argomento. 
La sua statura letteraria è sempre stata vista con scetticismo, ma la sua popolarità era immensa. Nato nel profondo della Siberia, iniziò a comporre da ragazzo, e divenne famoso negli Anni 50-60, quando nella Mosca del disgelo kruscioviano la poesia era diventata un fenomeno di libertà, una manifestazione di piazza, una subcultura alternativa all’arte ufficiale. I poeti leggevano le loro poesie ai piedi il monumento a Majakovskij, e radunavano folle all’auditorium del museo Politecnico, con gli ammiratori che li portavano in trionfo sulle spalle. Erano l’equivalente delle rockstar, e Evtushenko, provocatorio ed eccentrico non solo nei componimenti, ma anche nei vestiti e negli atteggiamenti, era l’indiscusso numero uno.
Quell’epoca finì, insieme al breve periodo delle speranze di un socialismo dal volto umano. Ma Evtushenko rimase, in un esercizio di equilibrismo che forse fu la sua opera principale. Denuncio ad alta voce gli «eredi di Stalin», difese il romanzo Non di solo pane di Vladimir Dudinzev (che gli costò l’espulsione temporanea dall’Istituto letterario), raccontò l’eccidio degli ebrei a Baby Yar a Kiev, un componimento quasi totalmente censurato perché era vietato parlare di Shoah, condannò l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 e difese i dissidenti. Nello stesso tempo dedicava poemi a Lenin e alle centrali idroelettriche, denunciava il militarismo degli americani e il pacifismo dei russi («Se i russi vogliono la guerra» divenne quasi un inno), proclamava la sua fede nel socialismo e nella grande patria russa. Poteva permettersi molto più di chiunque altro: era uno dei pochi sovietici a viaggiare apertamente per l’Occidente, cambiava mogli (quattro, con cinque figli), sfoggiava giacche indicibili, si permetteva di fare l’americano a Mosca, era il volto «liberale» del Cremlino. Iosif Brodsky lo accusava di essere al soldo dei servizi: «Come poeta è pessimo, come essere umano peggio». Evtushenko aveva preso le distanze dal futuro Nobel: «Sarà dimenticato il giorno dopo», una frattura che cercò inutilmente di rimediare per tutto il resto della vita.
Una vita di amori, passioni politiche - ha incontrato Robert Kennedy e Fidel Castro, Brezhnev e Nixon - e compromessi. La perestroika lo vide in prima fila, eletto deputato a furor di popolo nelle prime elezioni semilibere del 1989. I ragazzi che oggi scendono in piazza nei pressi del monumento di Majakovskij probabilmente non l’hanno mai sentito nominare. Per i loro padri resta il simbolo di un’epoca.

Anna Zafesova, LaStampa
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