domenica 24 agosto 2003

Pamparato 2003


UNA POESIA 
PER PAMPARATO

La partecipazione di così tanti concorrenti a questa sedicesima edizione del concorso “UNA POESIA PER PAMPARATO” è un po’ una risposta alla domanda che si poneva, ai suoi tempi, Guido Gozzano quando si chiedeva se era ancora possibile fare poesia in un mondo così orientato verso gli aspetti materiali della nostra esistenza.
Rispondere a questa domanda è allo stesso tempo rispondere alle periodiche “querelles” accese dai santoni delle patrie lettere che lamentano il proliferare dei troppi cosiddetti “poeti della domenica”, che inquinerebbero un orticello tutto riservato.
Senza consultare i sacri testi, molto semplicemente la risposta va ricercata dentro noi stessi, se è vero che la poesia è un affinamento dello spirito, una discesa nel profondo di noi stessi alla ricerca di esperienze, ricordi ed emozioni divenuti in noi “sangue, sguardo e gesto non più scindibili da noi”, come affermava Rilke.
E quel che esce da dentro di noi ci porta al di là di noi stessi, in quel mondo privilegiato, difficile, ma aperto a tutti, che è l’arte.
Augurandovi di continuare con successo nella vostra ricerca poetica, Vi ringraziamo per la vostra partecipazione e vi diamo appuntamento alla prossima edizione.
Eraldo Odasso


COMPOSIZIONE DELLA GIURIA:
Luca Necciai (presidente)
Albertina GUENNO, Carla LORENZINI, Giuliana MICHELI, Ilaria PAUTASSO GALLO



Poesie premiate 
-edizione 2003


SERA SARA’ SE SOLA SARAI


Sera sarà,

se sola sarai,

senza sorrisi sereni,

senza sesso sublime, sui seni sporgenti,

sospirando sui sogni,

sotto sete suadènti, sensualità seducenti,

sotto stelle splendenti,

sulle sere silenziose,

sulle stanze sopite,

sulle sinfonie struggenti,

sulle segrete suggestioni,

sulle spoglie senescènti…

solitaria succhierai sogni segreti,

sfiorandoti salace,

sentendo sensazioni stupende.



CRISTOFARO Sergio
1° Premio



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LE MIE ROSE

Giù

lungo il torrente

fra i sassi scivolosi

e le callosità

di pigra verzura grassa,

stanno fiorendo le mie rose.

Protendono timide l’orecchio

alla nenia delle acque

che tutto sanno,

confidando

in una mano che le colga.

Si son nutrite

fino a ieri

di un’assenza;

per contrasto e asimmetrie

han cercato verità.

Eran le stagioni dell’attesa e della prova.

Ma stamani

al chiarore accecante

di un’alba impertinente

han sentito i petali sgranarsi,

la corolla

impudica

si è sottratta

all’ombrosa protezione del fogliame,

e serie, imperturbabili

si son lasciate danzare

dai profumi rampicanti.

Le mie rose sono accese,

forti e irriverenti

si assetano di vita

e si rimandano l’un l’altra

la speranza della resa.

Il passo cadenzato del destino

ora

al mistero

le consegna.



ARIMONDO Simona




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SBRICIOLANO NIDI LE STAGIONI

le mie mani minuscole erano nido

tiepide o fredde le dita gracili

intrecciate – un paniere di vimini –

a quelle vigorose d’un padre cantoniere


e la fonte non ci dissetava


scappava alla Sorgente (velata fessura tra gli steli)

imprendibile l’acqua tra le nostre falangi

un avannotto – tra i ciottoli del Reno –

l’occhio nella melma spalancato

pregava per attimi di vita:

era solo, gli altri nella corrente, altrove



sbriciolano nidi le stagioni:

erano giochi a nascondino

tra il candore di ranno dei lenzuoli

stesi a carezzare nella corsa il viso

oh, i cortei della processionaria

sotto il pino allampanato

abbarbicato a poca terra sotto il Cielo


sbriciola un altro nido la stagione:

una pergola soffre trascurata

un tralcio s’appoggia alla panchina

di sasso sbertucciata

un grappolo d’uva fragola avvizzito

nella solitudine autunnale


sbriciolano le stagioni i nidi

un covo vuoto:

un pezzetto d’uovo triturato

una piuma, come fiocco di neve trasognato

tra braccia a forcella intirizzite


stagioni e un nido sbriciolato

scendo sull’acciottolato – ora strada incatramata –

dalla casa con la soglia consumata

le mani vecchie:

ho dita anchilosate che l’Acqua trapassa

e il Vento gela, sbriciolando le stagioni i nidi!


sinolo smembrato – il mio povero corpo –

tracima nelle nebbie:

labirinti invernali senza luce



BOTTARO Giovanni






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UN GRIDO

Echi & voci sottomarine

Scoprono scogliere sommerse

Un grido dall’anima scaglia

Il sangue al di sopra del mare


Scandaglio la profonda bassezza

Di uomini morti & rimorti

Immemori di piccoli eroi

Ammazzati fedeli alla terra


Questa terra difesa coi denti

Sassate & bastoni facendone alfine la Patria

E’ solo storia & la storia è una pagina

Pagina letta & lasciata nei banchi di scuola


Ogni cosa finisce il suo corso

La vita scorre nel suo fiume travolge

Terra straziata stracciata senza speranza

Giorno per giorno svenduta sfiorita


In paludi affondati a saziarci di vuoto

Impalpabile in compromessi stagnanti

Ebbrezza del niente la certezza che abbiamo

Soffocati da grumi & groppi arriviamo a domani


Un esercito di nani soccombe

Aiutata da aitanti col culo ben saldo in poltrona

Fornendo a noi plebe balocchi:

Finte emozioni da saldi in Tv..


E’ ucciso anche il dubbio morto in loro

Senza orizzonti soli in tramonti sui seni

Abbiamo tutti una voce ma bocche chiuse

Poi occhi bendati per preservarli alla luce


Un abisso di follia slego

Dal mio basso orizzonte

A chi non ha orecchi

Solo scudi per deviarmi a deriva

Nella mia inquietudine

Spalanco gli occhi

Una goccia di coscienza & cuore in rossa vergogna

Schiumano rabbiosi a travolgere

Folla al confine della cecità!!!


NARDI Federico




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FORSE TU

Forse non è perché le tue mani

volano, spargendo intorno tutta la luce caduta dal cielo

o leggere come acqua e farina

impastano, nelle mattine chiare di sogni

quel pane di fuoco in cui tu ti consumi.


Forse non è perché nei tuoi occhi

canta e s’incendia la luce dei crepuscoli

o perché qualche volta le lacrime

hanno bagnato di dolore il tuo sorriso

aprendo nella tua anima un abisso di silenzio.


Forse non è nemmeno perché il tuo cuore

si perde con la sua coda stellata nell’infinito, cantando.

O passa con la sua lunga rete di dolcezza

a catturare i pesci terribili della delusione

che attaccano e mordono, lasciando ferite che non si chiudono.


Ma di sicuro è perché quel giorno

hai voluto accendere una luce sottile,

hai voluto come un fiume in piena

abbattere tutti gli argini dell’amore

e costruire quel palpito nuovo, origine di un’altra vita.


E’ perché quel giorno hai seminato

nel tuo cuore le mie radici di frumento:

e di là salgono le spighe

che vogliono sgranare per te

il loro sussurro d’ombra e di poesia;


di là salgono le spighe che ti cantano col vento

la canzone del sempre e dell’attesa:

il bacio tremante di pioggia e rugiada

che vorrei darti sempre,

mamma.


MARTUCCI Mariangela




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COM’E’ OSTINATO QUESTO VENTO

Com’è ostinato questo vento

che ricama i tuoi capelli di seta

sulla ripida discesa che s’infuria

sotto la bufera tra un leggero

schianto di passeri ubriachi

e la tranquilla solitudine

si questo incerto sabato

che declina senza fretta

tra cristalli bruniti di vicoli

in disparte e luci precoci

sul minuscolo pullover

rossofuoco, e tu discreta

sussurri in confidenza i tuoi

segreti maliziosi coltivati

sottovuoto: foglia dopo foglia

i petali a brandelli con l’ultima

goccia di rugiada che resiste

sul muschio già cresciuto

e ci morde l’esistenza, fruscio

indistinto privato di nitida dolcezza

sul lucido bilancio senza clamore

nel labirinto cieco di rapide

emozioni, inconsapevole carezza

sul nostro instabile equilibrio stagionale.


BELOTTI Egidio




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Segnalazione per Merito:
UNA MONTAGNA CI VUOLE


Una montagna ci vuole, non fosse che per supporre

cantando ne scenda l’acqua che nel fosso mi scorre.

Noi, da San Grato, le montagne le vediam di lontano

(se sappiamo sostare e portare agli occhi una mano)

quando il sole, raggiante, la piana brucia più forte

e campi immensi riempie luglio di mais e di grano

e ricolma anche il cuore.


Lassù i giorni eguali e le ore,

fra declivi che non hanno mai fine se non per burroni,

spighe di pendula segale maturano piano

fra mulinelli capricciosi di vento e rovi gonfi di more.


Una montagna ci vuole, non fosse che per increspare

il limitare (perfetto troppo) a ventaglio del remoto orizzonte

e sapere che anche la Terra ha avuto sussulti, come l’uomo che soffre e corruga la fronte,

ove attizza ceppi d’albe e tramonti.

Soffron, su balze scolpiti, brandelli vuoti di baite

in un tempo (i vecchi – pietre fumanti nel sole – eccome lo sanno) che non ha più stagioni

e sogni di quiete marmotte e sentinelle di fanciulli attente

e fughe argentine a frotte e aguzzi campanili appesi al cielo

e d’organi diafane canne e limpide fonti soffocate dal gelo.


Lassù i giorni eguali e le ore,

fra giogaie che non più eterne hanno coltri di neve

(se non dove il sole le tinge d’un rosa più lieve),

fra corsieri, agili e fieri, incubi grondano (e morte) di rapaci bracconieri.


Una montagna ci vuole, non fosse che per avvistare

(rapiti) in volo aquile reali, nidi fra rupi scoscese,

sfide accese ai più gagliardi venti, becchi adunchi, artigli lucenti

e vincere mai stanche (fra cattedrali di pietra e di silenzi) sepolcrali candor di valanghe.


Là sotto il diavolo ha sepolto tesori, ingoiato case, tentato pastori, prosciugato torrenti,

scavato caverne, incatenato innocenti, inventato masche e seminato furori.

Là sotto Lucifero – orrendo – ha saccheggiato il “comando” (libro dal dorso vermiglio)

e con sadico piglio ha fatto ruggire, fra forre e serre, fatui fuochi ed epiche guerre.


Quei di lassù e noi della piana a reggimenti abbiam fatto le guerre.


Senza fiatare, a ranghi serrati, abbiamo servito con fedeltà ed onore

ché la penna nera, la cima gigante, l’aquila fiera, lo zaino pesante,

l’antico cappello, le verdi mostrine e il caduto fratello li portiamo nel cuore.


Una montagna ci vuole, non fosse che per issarvi

(non importa se a dorso di mulo e a forza di braccia la fatica è più greve) un’umile croce

ché la copra e la culli, in abbraccio d’amore, il nostro canto più lieve.


GALLI Giovanni





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Segnalazione per Merito:
A SCUOLA DA APOLLINAIRE



M Ombre non sono, fra gli alberi strani,

figure di nani;

la luna è più grande, più vaga la notte,

se questa è la notte

che segue l’ameno corteggio di Orfeo.


A Non è poesia, piovuta magia

carezza le labbra…

potessi fermare il silenzio

e contare d’un tratto sinonimi

molti, di gioia.


G Non più meraviglia:

la mano nasconde i ricordi,

solubili e persi

nel caldo fango dei fiumi,

nelle superbe contrade d’azzurro.


I Temi forse il romantico addio

dei fiori?

O cos’altro il cuore non dice?

E certo il colore dell’erba

fa invidia alle nuvole in alto.


A Si muovono rapidi i sogni

se adesso ferisce la luce del giorno;

per poco brontola il vento:

nascono e ancora

evangeliche forme gemelle.


A Ne sont pas détails mélodieux voix d’amour


BARTOLUCCI Pierubaldo 





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...altre poesie partecipanti:



OSPEDALE

A te Dottore

che davanti al male

vorresti guarire,

portare la vita a chi…

si prepara ad andar

lassù.


Il grande vuoto

non trova rimedio,

il tuo cuore piange

muore , e spera.


Ti vedo come un

fratello…che non si

arrènde e sino all’ultimo

respiro lotta.


Il giorno copre

l’universo….

quando ritornerai

vedrai un letto

l’ombra è andata nel

vento.


ALTINA Oscar Antonio



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VENTO DI MARZO


Vento di marzo,

vento di primavera.

E’ scatenata la bufera.

Tornadi flagellano nazioni e città

cappe di fumo nero

oscurano il cielo.

Bufera di guerra.

Quanto spargimento di sangue!

E’ l’innocente che paga con la vita.

Quante lacrime versano,

orfani, spose e mamme!

Quanto orrore!

Quanta sofferenza!

Quanta miseria e stenti!

Esodi falliti.

Popolo senza speranza,

senza casa, senza acqua,

senza luce, senza alimenti!

Bersaglio dei cannoni

E sotto ai bombardamenti.

Quando il sole sorgerà

Per riscaldare i gelidi cuori

dei potenti?

Quando l’amore prevarrà sull’odio?

Fermiamo la guerra,

diamoci la mano

vogliamoci bene.

Su questa terra nulla ci appartiene.


PRATO Caterina




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GIORNO DI PRIMAVERA


Il sole all’improvviso

profuma d’infanzia

l’erba è ritornata distesa

come prima del tempo

e il suono della primavera

è di nuovo bambino.


Sento l’aria intorno al cielo

dolce della fragranza dei fienili

vedo l’acqua ancora bianca

lambire la campagna


mi scalda la luce del mattino

che rimbalza e luccica sui vetri

giocando in mezzo a un’aia.


Sono la primavera nei sentieri

a braccia aperte

sono il grano che rivive

sono il volo sinuoso degli argini del Po

sono rondine tra le rondini

sono il vento che riempie d’azzurro

della terra al cielo.


Vedo strade grandi

vedo l’anima delle donne confuse nel mercato

vedo gli uomini camminare curvati

vedo i loro cuori

ancora leggeri.


I balconi s’affacciano

le biciclette si rincorrono

e il viale al mezzogiorno si trasforma

di colori urlanti e giovanili.


E’ ritornata

è di nuovo arrivata con la sua aria allegra

è ancora tempo di ascoltare l’erba crescere

è ancora tempo di lasciare che la luce

mostri l’alba

e poi scivoli facendo capriole

verso sera.


E’ ritornato il tempo vero

e ingenuo

e libero

e fatto per lasciarsi vivere in un sogno.


GIOVANARDI Vanni




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FUNERALE DEL GRANDE ABETE


Abbattere! E’ stato deciso,

per il grande abete è condanna.

Dell’ultima estate per lui

questo è l’ultimo sole.

Protesa più in alto, nel cielo,

scruta la punta le cime dei monti,

lontano.

Quanto ho amato la tua verde frescura,

delle lunghe tue pigne il tocco di resina,

come ho amato sentirti il respiro…

Se solo avessi della magia

quel potere arcano incantato,

le tue radici estrarrei dalla terra

per portarti con me,

dove la luce confonde gli albori

in lunghi momenti d’assenza

e il sole s’attarda

nella notte senza ombre di tenebra.

Addio, non posso vedere,

addio… e tu ancora non sai.

Nel bosco, lontano, scappare!

Nascondendo ogni senso all’umano sentire

percepisco dell’albero il grido,

poi ancora più forte il silenzio

nel tacito osservar delle betulle.

Negli occhi del falco, attoniti, l’urlo

sulle ali distese ha raggelato il cielo.

Ascoltate voi faggi, nel bosco, e castagni

non sentite il dolore del tronco tagliato?

C’è un albero che muore.

Silenzio.

Non s’ode neppure una foglia frusciare.

Spadroneggia il motore mordendo e invadendo

segando, ritornando più forte a ruggire

riecheggia quest’eco in tutta la valle

portando la voce ai monti lontani.

Addio…

Eri gocce di resina

eri ombra d’estate

eri aghi sul prato di neve.


MANTISI Cristina




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LA VOCE DEL SILENZIO


Spegnete il canto degli uccelli,

colorate tutto di nero,

e andate via,

non voglio nessuno intorno a me.

Fermate le parole,

non voglio più le stelle,

non voglio più il sole,

ma solo un angolo buio

dove potermi rifugiare.

Fate silenzio,

andate via,

e chiudete tutte le porte

affinché nessuno possa raggiungermi.

Ho il cuore pieno di lacrime

e mi pesa così tanto.

La mia testa è piena di voci inutili

e sofferenti

che mi ronzano come mosche nelle orecchie…

Dio che tortura


Voglio star sola.

Non voglio più il bianco,

non voglio più il rosso,

non voglio più l’alba ma solo il tramonto.

Farò di tutto

per cacciare i ricordi

che si sono impossessati del mio cuore.

Sì,

li caccerò e sarò più forte

Ma ora basta,

non voglio più parlare.

Lasciate che le onde del mare

mi cullino

e mi portino lontano,

lontano,

dove nessuno potrà più ferirmi..


ARCIULI Emanuela



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CERTAMEN DI POESIA
TERZA EDIZIONE
Pamparato, 23 AGOSTO 2003



POESIE VINCENTI




BUIO


Mi basta vedere le stelle

nel buio nero della notte

così vicine quassù

che quasi le puoi toccare.

Mi basta vedere i tuoi occhi

che specchiano il buio dei miei

profondo più della notte

che è scesa nell’anima mia.

Mi basta vedere il tuo sguardo

che tutta mi avvolge di luce

e mostra un domani sereno

di viva palpitante speranza.

Mi basta vederti accanto

compagno di tutta una vita

vicino nel riso e nel pianto

con tenerezza infinita.


DABOVE MARINELLA
1° PREMIO



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“ADDIO”


La tristezza zufola fioca

e a ritmi arpeggiati si disperde.

E’ la certezza che per ogni altro addio

ci sarà sempre come ora

una rocca sperduta fra le boscaglie,

uno sguardo penetrante d’immenso,

una frase che ripercuote le tue lacrime,

tremanti di pioggia settembrina.

Spera con fervore

come la mia speranza percorre lo spazio.

Gioca all’amore

quand’anche il viandante si destreggerà a farlo.

Pensami come l’acqua fresca ai sassi,

le felci ondulanti al vento,

il tempo insinuo al destino

e le nostre albe saranno sereni giochi d’acqua

attorno alle barche sospiranti

su mille gocce di sale.


BELLONE SIMONA
2° PREMIO




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L’IMMENSO VUOTO DELLE NOSTRE CAREZZE


Sono piccoli angeli

nati a volte per sbaglio,

sono fiori sotto la neve

sbocciati nel vento

gelido della sera

e gettati allo sbaraglio.


Un figlio si schianta

sulle pareti di un tunnel

fatto di buchi inesorabili,

annaspando nel rimorso

di non avere concesso

all’anima un ultimo desiderio.


Un figlio si nasconde

nel buio di un anonimo cavalcavia,

nell’attesa brutale

di lapidare il mondo

con la noncuranza dei fragili.


Un figlio

lo puoi ritrovare

nella sala d’attesa

d’una sudicia stazione,

mentre nasconde con dignità

sotto due strati di rossetto

tutta la vergogna

d’essere macchiato come “diverso”.


Un figlio lo puoi rivedere

per l’ultima volta

disteso sopra un gelido

letto di marmo,

pilota della notte

che ha perso la gara con la vita.


Sono aquiloni abbandonati

nelle mani della sorte,

demoni senza peccato

che masticano chewingum e morte

per riempire l’immenso vuoto

delle nostre carezze.


BELLINI CLAUDIO

3° PREMIO