Antiche come le montagne
Sezione Poesia insieme,
poesie premiate:
21 9 2008
NON INTRAPRESO, IL VIAGGIO
Non intrapreso, il viaggio sta racchiuso
entro il nodo scolpito delle braccia
(non minacciate questo mio sogno
-crescerà per sapori e respiri
-per scoperte in punta di dita
-per sguardi che diventano superbi
quando colgono nuovissimi orizzonti
-per parole in viluppo di suoni).
Non intrapreso, il viaggio fa paura:
è un baratro
un dardo
un dolore
è l'agguato della favola più buia
-che ti spegne e tenta a restare.
Non intrapreso, il viaggio pone in bilico
il peso avaro degli addii:
ci sarà qualcuno a salutarti
-a illuminarsi dicendo che ti aspetta
ad abbracciarti- forse a rattenerti?
Ma se a nessuno importa che tu vada
mete e propositi tienili per te.
Ogni viaggio -il dove non importa-
fa di te un nuovo Ulisse attento
al corteo di vele tese in alto
(nel tempo ricorderai il momento
un po' salso della partenza,
poi l'approdo che ti rese innamorato
-e ogni viaggio rinnoverà il destino.)
Fryda Rota, Borgovercelli VC
Primo premio assoluto “Poesia insieme”
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acrobati di giorni
m'innamoro ogni giorno
del correre del tempo
e del suo faticare insoddisfatto
amore venato di pomeriggi lenti
irrorato da attimi violenti
la primavera
accompagna le rane al lago
è estate e nei miei sogni bambini orientali
giocano con fiori appena colti
un caldo autunno
battezza i colori dove poggio lo sguardo
è inverno e già assorda il silenzio
scarcero i minuti esitanti
ributtando la fretta mangiapane
bottoni dorati di istanti su camicie inamidate dagli eventi
annuso le ore pazienti
inespugnabili castelli di cristallo
cardando le attese e gli indugi
straripano nel mio giorno
i ritmi crudeli
mentre reclamano attenzione le pause
smagliate ed avvizzite
e lui, il tempo
sempre padrone
mi corteggia allontanandomi dai momenti disperati
tenendo il respiro durante i baci
perché tutto sia suo regalo
a noi devoti acrobati di giorni
Massimo Pedrini, Gorle BG
2° Classificato "Poesia insieme"
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"IL PRINCIPE DELLE ROTAIE"
Oggi ho incontrato il Principe delle Rotaie,
l'Imperatore dei Treni, il Mentore dei vagabondi.
Suonava l'armonica seduto su un sacco di farina.
Godeva della pioggia e del sole,
e della libertà più completa.
Sono il ben venuto nel suo regno,
fatto di uomini e donne con le unghie sporche di carbone
e di abiti consunti dallo sfregare sui
pianali di troppi vagoni
Viaggiammo verso meridione,
seguendo i binari e le stelle,
respirando l'odore del mare,
accarezzati dall'aria dolce della notte.
Viaggiammo raccontandoci storie,
e intonando vecchie canzoni.
Recepii la saggezza nascosta nel viaggio,
carpii il segreto e ne feci tesoro.
Morirò, piuttosto che arrendermi allo squallore
dei normali grigi giorni a venire.
Viaggerò fino a che il mio corpo cadrà a pezzi
non mi fermerò mai.
Vi saluterò con la mano,
ed un radioso sorriso,
mi guarderete passare e so per certo che...
invidierete la mia libertà sporca
la mia miserabile saggezza,
la mia incredibile leggerezza.
Ma non abbiatevene a male, perché
porterò con me, una parte di ognuno di voi.
Fabrizio Picco, Giaveno TO
3° Classificato "Poesia insieme"
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COUCHER DU SOLEIL
Le vol géométriquement se lève
segments noirs
sur le ciel brossé par des fils de nuages
je me sens contre le soleil joyeux détail.
trad:
TRAMONTO
Lo stormo geometricamente si alza
segmenti neri
sui cielo spazzolato da fili di nuvole
mi sento contro il sole dettaglio gioioso.
Maria Mara Marchesi, Gaggiano MI
4° Classificata "Poesia insieme"
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UNA PICCOLA STELLA
In memoria di Alessandro Cruto
Aveva sogni
la tenebra profonda della notte
e paure ancestrali
perciò salutava con gioia l'aurora
nel punto di unione
al fulgore del giorno.
Aveva nomi
II magico rito
di esorcizzare il buio
faro, lume, lucerna
cieca, a candela, a petrolio.
Poi, meraviglia, stupore!
Altro il filo di luce
un ricamo nel vuoto di un bulbo
fragile di vetro
una piccola stella
dal tenue ma vivo brillare
nel cielosoffitto
già lucedoro
di umano intelletto
in quell'anno benedetto
del milleottocentottanta.
Annamaria Bracale Ceruti, Torino
5° Classificata "Poesia insieme"
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Il respiro ti dirà il Nome
II respiro che precede la parola ti dirà il Nome,
quello segreto che pronuncio
per diventare pane sulla tua lingua
matita nelle tue mani
piega sulla tua pelle,
fiamma che il tempo non estingue
nell'alambicco che dal tuo ventre
distilla la forza che mi nutre.
Elena Gastaldi, Bruino TO
Premio speciale della giuria
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I Gatti, la Luna...e , giocoforza , la Lupa
Ho amici fra i gatti di strada
che han nei fianchi la flemma
della luna tardiva sull'alba
e van dietro alla luna
che si inerpica e sbianca
lungo l'aria arruffata
di sogni incompiuti,
ed inciampa , al ricordo ,
col rumore
dei passi dei gatti.
Ho amici fra i lupi di steppa
che han nei fianchi la fretta
della lupa Galoppa Galeppa
e van dietro alla lupa
che borbotta e barbetta
lungo ardite montagne
di lupi su in vetta,
poi finisce la steppa
e incomincia il dirupo,
e si morde, la lupa,
la coda di lupo .
Sergio Carena, Pinerolo TO
Premio speciale della giuria
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Sezione Progetto Primavera,
poesie premiate:
Mareggiata
Tra i segni della recente mareggiata
sprofondo ansie e paure;
respiro la chiara solitudine del vento,
calpestando friabili sabbie sbiadite.
Le acque arroganti, ora placate,
accolgono il sole che si sveglia stropicciato,
su una mattinata vestita di grigi preziosi.
Piccole onde leccano affettuose
la battigia bagnata
e disegnano schiere d'impronte minuscole,
bassorilievi di dolcezza ripiegata.
Laggiù, nell'acqua smeralda,
guizzano veloci aneliti d'infinito
rincorsi da solitarie sirene d'infanzia.
Poi il loro richiamo tace
e torna a tuonare
la voce profonda del Mare,
con le sue richieste di silenzio.
Nella luce nascente
le impronte dei miei pensieri
toccano le soffici dune della sabbia,
schiacciandole dolcemente:
il mio respiro si fa malinconia.
Daniele Armando, Caraglio (CN)
1° Classificato "Progetto Primavera"
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Vento d'inverno
Su un cielo di pietra e arida terra
fili di spine, torri di guardia :
Cristo soffriva, dimora di morte.
Entrava un popolo d'ombre,
già l'uomo era morto
non tornava di là,
memoria di morte.
Negli occhi l'abisso del mare
Ma dietro quel velo di splendido azzurro
La nebbia si celava, insieme al bambino,
sua unica compagna, prigioniera d'Auschwitz.
Giampaolo Guizzardi, Bologna (BO)
2° Classificato "Progetto Primavera"
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E’...
E’ un dono.
Un sacrificio.
Una scelta da prendere o lasciare.
Un sogno per chi è felice
e un peccato per chi è triste di averla.
E’ la realtà.
Una sofferenza che deve essere amata.
E’ una passione che può volare al vento
e qualcosa di veloce o di lungo che non si conosce
Puoi sperarla.
Averla,
ma la cosa più dura
è che devi affrontarla per quella che è... la vita!
Iris Albertini, Trevozzo di Nibbiano (PC)
3° Classificata "Progetto Primavera"
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Difficile
Difficili insicuri passi
il sole mi spinge
splende
E presto nella mia vita
scelgo di continuare
............comunque
Scivolo mi scoraggio
ho scelto la strada difficile
si cade nella mia vita,
si soffre
A sera vedo impronte dietro me
sono le mie
progetto un pezzo di domani
Ho perso l'incanto
ho malinconia
sto crescendo
Lo so lo hanno fatto tutti
a me
non era ancora successo...
Alberto Roccisano, Giaveno (TO)
Segnalazione della giuria "Progetto Primavera"
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Sezione narrativa,
opere premiate
FRANKY
"Vi voglio raccontare un episodio molto importante della mia adolescenza" disse in perfetto inglese l'anziano uomo nero al termine della cena.
"Avevo undici o dodici anni, non ricordo con precisione, quando un pomeriggio di fine settembre ad Ampitaca, poche capanne vicine al villaggio dove vivevo, arrivarono due persone bianche, due "vasà" , un uomo e una donna.
Portavano una borsa contenente alcuni vestiti. Si misero a gonfiare una piccola piscina di plastica, tirarono fuori un sapone profumato al limone (all'epoca forse era il primo che vedevo) e un asciugamano. Poi, con un secchio di legno, riempirono la vasca con l'acqua del pozzo e cominciarono a lavare i bambini del villaggio.
Pauly aveva poco più di tre anni e stava nelle capanne di Ampitaca da due, da quando cioè era stato trovato da padre Paul nella boscaglia. I genitori l'avevano abbandonato forse perché zoppicava leggermente dalla gamba destra e pensavano che non sarebbe mai stato in grado di essere utile alla famiglia. Masura di anni ne aveva due. Anche lui proveniva da qualche villaggio della boscaglia. Era stato padre Jacques, l'altro missionario polacco a salvarlo da morte sicura poco dopo la nascita.
Pauly strepitava mentre la ragazza lo teneva fermo cercando di togliergli i brandelli di pantaloni e maglietta che indossava. Quando lo mise nell'acqua e il ragazzo gli passò la spugna insaponata sulla pelle, urlò a squarciagola cercando di saltare fuori dalla piccola vasca. Continuò a piangere fino a quando, dopo averlo sciacquato, il giovane lo avvolse nell'asciugamano e lo rivestì con gli abiti nuovi che avevano portato.
Anche Masura non gradiva essere lavato e si era tutto irrigidito chiudendo gli occhi. Il ragazzo si stupì quando, mentre lo insaponava, avvertì con i polpastrelli dei grossi punti ruvidi e neri sotto la pelle e non sapeva spiegarsi di cosa si trattasse. Probabilmente non aveva mai visto prima delle pulci e per giunta così invasive.
Dopo i due piccoli mi proposi io per il bagno. In un attimo ero nudo e ridevoemozionato per quello che mi stava per succedere. Sì che c'erano anche due mie compagne di scuola e avrei dovuto essere in soggezione ma sembrava di essere a una festa e non mi feci problemi. Poi aiutai i due giovani a fare il bagno agli altri bambini che continuavano ad arrivare, convincendoli che si
trattava di una cosa piacevole.
Quando fummo tutti puliti e vestiti di nuovo, improvvisammo un gioco con una palla fatta con una borsa di plastica. Non parlavamo la stessa lingua. Io appena conoscevo le parole in francese necessarie per presentarmi. Ma in quei pochi minuti ci capimmo e divertimmo tantissimo.
La sera andai a messa nella piccola chiesa del villaggio. I due bianchi distribuirono caramelle, una a ognuno dei bambini componenti il nugolo che s'era assembrato nel buio intorno all'abitazione dei padri missionari. Tornai a casa con un paio di pantaloni nuovissimi, mai indossati da nessun altro
prima (c'era perfino l'etichetta attaccata!) e una maglietta dalle maniche lunghe, rossa. Mio padre, quasi indispettito, mi chiese dove avessi preso quella roba. Consegnai a mia madre i vestiti che avevo: mi sarebbe piaciuto se li avesse lavati e rammendati.
Fu nei giorni seguenti che scattò qualcosa dentro di me. Non seppi dire di cosa si trattasse ancora per alcuni anni ma sentivo che avevo contratto un debito che dovevo saldare. Cominciai a studiare con più determinazione e a leggere tutto ciò che mi capitava sotto gli occhi tanto da sbalordire la maestra, i miei compagni e i miei stessi genitori. I miei risultati erano così sorprendenti che la maestra riuscì a trovarmi un posto alla scuola di Mananjary, una città a dodici ore di piroga dal mio villaggio. Negli anni successivi andai alle scuole superiori di Antsirabe e poi ad Antananarivo, all'università.
Non seppi mai chi fossero quelle due persone bianche né da dove venivano. Ricordo chiaramente soltanto i loro sorrisi e le strette di mano. E ho ancora oggi davanti agli occhi l'immagine dell'uomo quando mi sollevò dall'acqua e, portandomi in braccio, mi depositò sull'orlo del pozzo, l'unico spazio asciutto lì intorno, per asciugarmi.
Ringrazio Dio per avermi permesso di vivere quel giorno che mi ha fatto capire quanto poco occorra per fare felice una persona. Con questo spirito ho cercato di vivere negli succesivi, fino a oggi".
Tutti i commensali erano rimasti in silenzio.
Qualcuno aveva gli occhi lucidi, qualcun altro un grosso nodo in gola.
Anche l'uomo che aveva parlato era molto emozionato.
Prima che scoppiasse l'applauso assordante al neo premio Nobel per la pace, trascorsero ancora alcuni lunghissimi secondi.
Franky Manavalona, da Ambohitsara, Madagascar, visibilmente commosso salutò e ringraziò tutti.
Carlo Carlotto, Nucetto (CN)
1° Classificato assoluto
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IMPREVISTO
Ce l'aveva fatta.
Non le sembrava ancora vero, eppure ce l'aveva fatta: dopo una lunga corsa era riuscita a prendere quel tram, l'ultimo della serata.
Mentre infilava il biglietto nella macchina obliteratrice aveva sentito il sudore scenderle lungo la schiena . Era così accaldata che quando si era seduta in uno dei pochi posti liberi il contatto della pelle con lo schienale , attraverso il sottile tessuto della camicetta , le aveva provocato un brivido. Si sistemò sulle gambe la valigetta portadocumenti e la borsetta e riuscì a rilassarsi un po' guardando fuori dal finestrino.
Voleva conoscere meglio questa Torino che, per lei, romana, fino a quel momento aveva significato soltanto Juventus e Fiat.
Si era trasferita da poco in un appartamento in periferia, con del verde intorno. All'inizio aveva tentato di raggiungere la Procura , dove era stata destinata, in auto. Ma l'impresa si era rivelata ben presto impegnativa. Aveva, allora, deciso di tentare con i trasporti pubblici e quello era il primo giorno di prova.
Fuori dal finestrino le immagini e le fermate scorrevano veloci, come i pensieri. La pensilina di Corso Traiano, in corrispondenza di uno dei cancelli di uscita di una grossa fabbrica, era gremita di persone.
La sua attenzione fu attirata da alcuni uomini che stavano gesticolando animosamente. Fu allora che, con la coda dell'occhio, lo vide. O perlomeno le parve di vederlo. Stava svoltando l'angolo di una via , tenendo al guinzaglio un giovane pastore tedesco. Alto, dinoccolato, con qualche capello grigio in più, si stava allontanando senza fretta . Ma il tram , intanto, era ripartito e la sua immagine era scomparsa definitivamente.
Se dieci anni prima non l'avesse visto con i propri occhi steso in quella lunga bara di mogano, avrebbe senz'altro potuto giurare che l'uomo con il cane era Giorgio e non una apparizione frutto della sua fantasia.
Mentre il tram si dirigeva al capolinea, dove sarebbe scesa, e si svuotava mano a mano dei suoi passeggeri, si rese conto che non avrebbe potuto vivere il resto della vita con quel dubbio in sospeso.
E prese la decisione.
Il giorno successivo era domenica. In auto, questa volta, si era diretta verso Corso Traiano ed aveva parcheggiato vicino alla fermata nei pressi della quale la sera precedente le era sembrato di aver visto Giorgio. Non aveva ancora le idee ben chiare su cosa avrebbe potuto fare, ma era certa di voler almeno tentare.
Era quasi mezzogiorno, l'estate stava mordendo la città e le strade erano pressoché deserte.
D'un tratto si sentì prendere dallo sconforto pensando che cercare Giorgio avrebbe potuto essere come cercare un ago in un pagliaio. Forse era stato lì solo di passaggio, forse non ci sarebbe tornato mai più e forse, soprattutto, quello che aveva visto non era Giorgio . Ma , dato che ormai era lì, tanto valeva fare almeno quattro passi in cerca di un bar per qualcosa di fresco.
Prese a camminare nella calura soffocante, cercando di restare nell'ombra disegnata dai contorni dei palazzi. Lanciava, passando, rapidi sguardi nei cortili deserti in cerca di qualcosa di insolito; vicino ad un garage aperto notò uno scooter con un casco sul sellino: il proprietario doveva trovarsi all'interno, da dove proveniva un tramestìo. Attese qualche istante per vedere in volto la persona che , uscita dal garage, ne stava chiudendo la saracinesca.
Era Giorgio. E questa volta ne era ben sicura.
Entrò con passi frettolosi nel cortile, per paura che le sfuggisse di nuovo. Lo toccò sulla spalla e, quando si voltò, "Giorgio", gli disse semplicemente.
La guardò per un attimo e poi le voltò bruscamente le spalle; si infilò rapidamente il casco, ne estrasse un altro da sotto il sellino e, senza dire una sola parola, glielo porse. Lei se lo infilò in testa e si sedette dietro di lui sullo scooter. Percorsero stradine secondarie fino ad arrivare al vecchio Stadio Comunale; una fiumana di persone era in attesa di entrare per quel concerto rock di cui si ricordò di aver visto i cartelloni pubblicitari in tutta la città. Finalmente, sempre senza scambiarsi una parola, riuscirono a penetrare nell'interno e a farsi strada tra le centinaia di persone che, in piedi, aspettavano l'uscita sul palco della band.
Fu solo quando la musica esplose in tutta la sua potenza fuori dagli altoparlanti, e tutti intorno iniziarono ad urlare, che Giorgio le passò furtivamente una matita ed un notes . Avrebbe voluto rivolgergli mille domande, ma, anche se non sapeva ancora perché, aveva capito che il tempo disponibile era poco e che non avrebbero potuto parlarsi.
"Cosa è successo? ", gli scrisse in fretta in stampatello.
Giorgio lesse le poche parole, pensò qualche istante e poi le rispose sullo stesso foglio: " Hanno dovuto farmi sparire. A Roma ero in pericolo. Sai che il mio era un lavoro tranquillo. Ma una multinazionale era implicata in un commercio d'organi di bambini proveniente dall'Oriente. L'ho scoperto per puro caso ed ora non sono più Giorgio. "
E poi, a grandi lettere, lesse ancora " Per entrambi : dimenticati di me !".
Le si riempirono gli occhi di lacrime, ma capì che non aveva altra scelta. Appallottolò nella mano il foglietto, si girò verso di lui, lo abbracciò stretto stretto e gli sussurrò all'orecchio " Però so che sei vivo !".
Poi si allontanò a fatica tra la folla urlante, mentre Giorgio restava immobile al suo posto, senza voltarsi indietro.
Quando uscì dallo stadio respirò profondamente e poi si diresse, a cuor leggero, alla fermata del tram.
2° Classificata
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L'ACQUA E LA FIABA
Se ne stava pensosa in riva al mare, lo sguardo perso in quella enorme distesa d'acqua, rapita dalle note dello sciacquìo delle onde che si infrangevano contro gli scogli poco distanti.
"Come vorrei essere una piccola onda e correre libera nei mari del mondo", diceva tra sé Tilly mentre i sassolini che gettava formavano perfetti cerchi concentrici. Ed ecco, all'improvviso, emergere da uno di questi una sirena. "Ciao bella bambina, non aver paura, io sono Serenella e... so che ti chiami Tilly! Mentre giocavo a rimpiattino con i miei amici delfini mi sono spinta troppo a riva e così ho potuto sentire il desiderio che hai espresso. Ma davvero vorresti essere un'onda? ". La bimba paffuta, dalle rosse trecce e dagli occhi color dell'oceano, per nulla intimorita, corse di slancio verso Serenella esclamando "Oh sì....sììì!!!". La sirena allora le si accostò: con la coda le fece cenno di salirle a cavalluccio, la invitò a tenersi forte e iniziò a guizzare nell'acqua su, giù, su, giù e ancora su accompagnata dalle risa estasiate della piccola cui pareva di essere su di una giostra.
Zampilli di acqua cristallina si divertivano a solleticarla mentre le stelle marine erano graziosi fermagli per i suoi riccioli e gli ippocampi gareggiavano a carpire la sua attenzione con goffe piroette. "E' meraviglioso", esclamò Tilly - che era tutt'uno con l'acqua salata che le scivolava addosso carezzandola, timorosa di sciupare la sua pelle di bambola - "come vorrei proprio essere una piccola onda!!!" La sirena allora nuotò ancora più veloce sino a che, esausta, la adagiò su una conchiglia e le disse: "Ascolta Tilly, se vuoi veramente essere un'onda devi prima conoscere le tue origini; vuoi che ti accompagni in questo viaggio?". E la piccola rise ancor più forte urlando "Sì...sì!!!". Serenella, spronata da quella risposta, si diresse verso la foce perché "è da qui che l'acqua giunge al mare". Poi risalì la corrente del fiume salutando le paperelle e le ranocchie che curiose guardavano la strana coppia. E salì su in alto, sino ad arrivare ad uno stretto ruscello ai piedi di un monte. "Cara Tilly", disse Serenella, "il tuo viaggio non è finito, ma io non posso più accompagnarti. Ti lascerò a quella Cicogna che potrà portarti in cima alla montagna".
La bimba, senza proferir parola, accarezzò dolcemente la sirena e si protese verso una magnifica Cicogna che la prese sulle sue ali e la portò ad una sorgente. Un piccolo rivolo scorreva, uscendo come d'incanto, da poche pietre attorniate da un odoroso muschio, e la bambina guardò con aria interrogativa la nuova amica non riuscendo a capire da dove l'acqua avesse origine.
La risposta non si fece attendere, anche se subito non parve capirne appieno il significato: "Ciò che ti pareva sconfinato ed enorme è ora delimitato da pochi sassi e puoi coglierlo nel palmo della mano. Ricorda - le grandi cose nascono dalle piccole cose" e nel dire ciò la avvicinò ad un Angelo che attendeva seduto su un masso. "Ora anche io devo lasciarti.... il momento della tua conoscenza è vicino "... e con un battito d'ali la Cicogna si allontanò mentre l'Angelo la cinse con delicatezza e si diresse verso il cielo.
Il sole era così vicino ma non bruciava, la luna si poteva sfiorare con la punta delle dita, e le stelle sembravano piccoli fuochi d'artificio.
Arrivarono quindi sulle nuvole e lì anche l'Angelo la salutò dicendole "Vedi Tilly, è da qui che nasce la vita ed è qui che la vita ritorna". E come per magia la bella bimba si trasformò in una gocciolina d'acqua che piovve dal cielo. Si adagiò su una foglia, percorse il tronco di un albero, si nascose nella terra sino a riemergere in una sorgente e via rotolò tra le pietre scendendo a valle, si tuffò nel fiume, raggiunse il mare e finalmente diventò onda!
Tilly era acqua che palpita, guizzo di vita, energia intrattenibile. Era parte dell'universo di cui finalmente capiva il senso, senza vincoli di tempo e di luoghi: onda del mare caraibico e contemporaneamente onda del mediterraneo sulle cui rive aveva iniziato il suo viaggio.
Patrizia Massano, Arma di Taggia (Imperia)
Premio speciale della Giuria
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LA VALIGIA
Mi è sempre faticoso disfarla.
Ogni cosa che ripongo dopo un nostro viaggio sembra scalfire una parte di me; così la valigia resta per giorni sulla panca, colma dei preziosi indizi di un amore.
Guarire da un altro distacco è delicata suggestione delle ore ripartite in frammenti che, frettolosamente,ripongo tra le cose che la valigia inghiotte. Così compongo il saluto senza un appiglio per affrancare un nuovo incontro. Si dipana un gomitolo di ricordi, colori cangianti... e il refolo di un respiro condiviso.
La tua voce risuona ogni giorno al telefono, ora cristallina, enfatica, ora mesta o concitata per quanto la vita ci riserva. Mi piace indovinare dal primo "ciao" la gradazione del tuo umore. I silenzi sono "luce parlata", trasparenza dei nostri corpi che si accendono al baluginìo dei sensi. Si riapre così la valigia dei nostri giorni insieme colma di minuscole perle che scivolano, si riuniscono in fiotti di riflessi. Da una tasca emerge una cartolina che snida i ricordi dell'ultimo viaggio.
Era di ottobre e le previsioni per quel fine settimana offrivano un repertorio di piogge. Quel mattino la bruma pareva volerci negare l'incanto del paesaggio sulla strada per Ponticello. Al lago di Braies la prima neve costellava i pini e ondulate movenze erbose lamentavano la prima rudezza del gelo.
Al maso trovammo rifugio. La vacanza sembrava destinata alle confidenze intorno alla "stube". All'improvviso un barlume di sole sciorinò l'allegria, e noi sul terrazzo a contemplare il disgelo.
"Ecco - mi ha detto - ora le nubi scoprono la cima del mio GRANDE GUERRIERO. Non è ancora nitida la sua forma, devi scoprirla da sola. Ti racconto la storia che questa montagna mi ha ispirato.
Si amavano molto. Lui bello e forte, lei esile principessa. Si vedevano di nascosto perché la famiglia reale aveva altri progetti. I due giovani si incontravano lungo il fiume, su una golena che l'acqua abbracciava con un delicato sciabordìo. Nei loro giochi d'amore erano corpi fluttuanti in una miriade di gocce, molecole aperte a raccogliere ebbrezza. Le loro parole si confondevano con il bisbiglio dei licheni.
Furono scoperti. Lei mandata lontano, in un castello misterioso. Il giovane guerriero la cercò sui monti e per le valli, superando ogni insidia. Ogni giorno accatastava i legni trovati lungo il cammino e, con il suo logoro mantello, mandava messaggi di fumo per darle conferma del suo amore. Ogni giorno confidava nella guida dei falchi e delle aquile che gli offrivano in dono una piuma.
Trascorsero molti anni, finché una notte vide trasparire, nell'ardesia del cielo, una fulgida stella. Comprese di aver trovato la sua Principessa e si coricò, per dare riposo al suo cuore innamorato. Per vederlo devi piegare il capo."
L'ho visto, il tuo GRANDE GUERRIERO in tutta la sua regalità. Il mento sporgente, le labbra perfette, II naso prominente, le palpebre chiuse, il diadema di piume.
Intanto si stemperava la neve e i pini gocciolavano riflessi sui nostri capelli spettinati. Felici guardavamo la corolla di vette, consapevoli che le Dolomiti ci avevano regalato l'ebbrezza delle stagioni nel volgersi di poche ore.
La sera la luna illuminava il Picco di Vallandro e fu l'incanto di un attimo a farci credere che il GRANDE GUERRIERO aveva aperto gli occhi per rimirare la sua fulgida stella.
È difficile amare la tua lontananza.
Il pensiero abbraccia la fantasia e si scompone tra le ore da ricordare e quelle da cullare dentro.
Trabocca di attesa. La valigia.
Paola Insola, Torino
Premio speciale della Giuria
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