UNA POESIA
PER PAMPARATO
La partecipazione di così tanti concorrenti a questa sedicesima edizione del concorso “UNA POESIA PER PAMPARATO” è un po’ una risposta alla domanda che si poneva, ai suoi tempi, Guido Gozzano quando si chiedeva se era ancora possibile fare poesia in un mondo così orientato verso gli aspetti materiali della nostra esistenza.
Rispondere a questa domanda è allo stesso tempo rispondere alle periodiche “querelles” accese dai santoni delle patrie lettere che lamentano il proliferare dei troppi cosiddetti “poeti della domenica”, che inquinerebbero un orticello tutto riservato.
Senza consultare i sacri testi, molto semplicemente la risposta va ricercata dentro noi stessi, se è vero che la poesia è un affinamento dello spirito, una discesa nel profondo di noi stessi alla ricerca di esperienze, ricordi ed emozioni divenuti in noi “sangue, sguardo e gesto non più scindibili da noi”, come affermava Rilke.
E quel che esce da dentro di noi ci porta al di là di noi stessi, in quel mondo privilegiato, difficile, ma aperto a tutti, che è l’arte.
Augurandovi di continuare con successo nella vostra ricerca poetica, Vi ringraziamo per la vostra partecipazione e vi diamo appuntamento alla prossima edizione.
Eraldo Odasso
COMPOSIZIONE DELLA GIURIA:
Luca Necciai (presidente)
Albertina GUENNO, Carla LORENZINI, Giuliana MICHELI, Ilaria PAUTASSO GALLO
Poesie premiate
-edizione 2003
SERA SARA’ SE SOLA SARAI
Sera sarà,
se sola sarai,
senza sorrisi sereni,
senza sesso sublime, sui seni sporgenti,
sospirando sui sogni,
sotto sete suadènti, sensualità seducenti,
sotto stelle splendenti,
sulle sere silenziose,
sulle stanze sopite,
sulle sinfonie struggenti,
sulle segrete suggestioni,
sulle spoglie senescènti…
solitaria succhierai sogni segreti,
sfiorandoti salace,
sentendo sensazioni stupende.
CRISTOFARO Sergio
1° Premio
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LE MIE ROSE
Giù
lungo il torrente
fra i sassi scivolosi
e le callosità
di pigra verzura grassa,
stanno fiorendo le mie rose.
Protendono timide l’orecchio
alla nenia delle acque
che tutto sanno,
confidando
in una mano che le colga.
Si son nutrite
fino a ieri
di un’assenza;
per contrasto e asimmetrie
han cercato verità.
Eran le stagioni dell’attesa e della prova.
Ma stamani
al chiarore accecante
di un’alba impertinente
han sentito i petali sgranarsi,
la corolla
impudica
si è sottratta
all’ombrosa protezione del fogliame,
e serie, imperturbabili
si son lasciate danzare
dai profumi rampicanti.
Le mie rose sono accese,
forti e irriverenti
si assetano di vita
e si rimandano l’un l’altra
la speranza della resa.
Il passo cadenzato del destino
ora
al mistero
le consegna.
ARIMONDO Simona
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SBRICIOLANO NIDI LE STAGIONI
le mie mani minuscole erano nido
tiepide o fredde le dita gracili
intrecciate – un paniere di vimini –
a quelle vigorose d’un padre cantoniere
e la fonte non ci dissetava
scappava alla Sorgente (velata fessura tra gli steli)
imprendibile l’acqua tra le nostre falangi
un avannotto – tra i ciottoli del Reno –
l’occhio nella melma spalancato
pregava per attimi di vita:
era solo, gli altri nella corrente, altrove
sbriciolano nidi le stagioni:
erano giochi a nascondino
tra il candore di ranno dei lenzuoli
stesi a carezzare nella corsa il viso
oh, i cortei della processionaria
sotto il pino allampanato
abbarbicato a poca terra sotto il Cielo
sbriciola un altro nido la stagione:
una pergola soffre trascurata
un tralcio s’appoggia alla panchina
di sasso sbertucciata
un grappolo d’uva fragola avvizzito
nella solitudine autunnale
sbriciolano le stagioni i nidi
un covo vuoto:
un pezzetto d’uovo triturato
una piuma, come fiocco di neve trasognato
tra braccia a forcella intirizzite
stagioni e un nido sbriciolato
scendo sull’acciottolato – ora strada incatramata –
dalla casa con la soglia consumata
le mani vecchie:
ho dita anchilosate che l’Acqua trapassa
e il Vento gela, sbriciolando le stagioni i nidi!
sinolo smembrato – il mio povero corpo –
tracima nelle nebbie:
labirinti invernali senza luce
BOTTARO Giovanni
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UN GRIDO
Echi & voci sottomarine
Scoprono scogliere sommerse
Un grido dall’anima scaglia
Il sangue al di sopra del mare
Scandaglio la profonda bassezza
Di uomini morti & rimorti
Immemori di piccoli eroi
Ammazzati fedeli alla terra
Questa terra difesa coi denti
Sassate & bastoni facendone alfine la Patria
E’ solo storia & la storia è una pagina
Pagina letta & lasciata nei banchi di scuola
Ogni cosa finisce il suo corso
La vita scorre nel suo fiume travolge
Terra straziata stracciata senza speranza
Giorno per giorno svenduta sfiorita
In paludi affondati a saziarci di vuoto
Impalpabile in compromessi stagnanti
Ebbrezza del niente la certezza che abbiamo
Soffocati da grumi & groppi arriviamo a domani
Un esercito di nani soccombe
Aiutata da aitanti col culo ben saldo in poltrona
Fornendo a noi plebe balocchi:
Finte emozioni da saldi in Tv..
E’ ucciso anche il dubbio morto in loro
Senza orizzonti soli in tramonti sui seni
Abbiamo tutti una voce ma bocche chiuse
Poi occhi bendati per preservarli alla luce
Un abisso di follia slego
Dal mio basso orizzonte
A chi non ha orecchi
Solo scudi per deviarmi a deriva
Nella mia inquietudine
Spalanco gli occhi
Una goccia di coscienza & cuore in rossa vergogna
Schiumano rabbiosi a travolgere
Folla al confine della cecità!!!
NARDI Federico
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FORSE TU
Forse non è perché le tue mani
volano, spargendo intorno tutta la luce caduta dal cielo
o leggere come acqua e farina
impastano, nelle mattine chiare di sogni
quel pane di fuoco in cui tu ti consumi.
Forse non è perché nei tuoi occhi
canta e s’incendia la luce dei crepuscoli
o perché qualche volta le lacrime
hanno bagnato di dolore il tuo sorriso
aprendo nella tua anima un abisso di silenzio.
Forse non è nemmeno perché il tuo cuore
si perde con la sua coda stellata nell’infinito, cantando.
O passa con la sua lunga rete di dolcezza
a catturare i pesci terribili della delusione
che attaccano e mordono, lasciando ferite che non si chiudono.
Ma di sicuro è perché quel giorno
hai voluto accendere una luce sottile,
hai voluto come un fiume in piena
abbattere tutti gli argini dell’amore
e costruire quel palpito nuovo, origine di un’altra vita.
E’ perché quel giorno hai seminato
nel tuo cuore le mie radici di frumento:
e di là salgono le spighe
che vogliono sgranare per te
il loro sussurro d’ombra e di poesia;
di là salgono le spighe che ti cantano col vento
la canzone del sempre e dell’attesa:
il bacio tremante di pioggia e rugiada
che vorrei darti sempre,
mamma.
MARTUCCI Mariangela
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COM’E’ OSTINATO QUESTO VENTO
Com’è ostinato questo vento
che ricama i tuoi capelli di seta
sulla ripida discesa che s’infuria
sotto la bufera tra un leggero
schianto di passeri ubriachi
e la tranquilla solitudine
si questo incerto sabato
che declina senza fretta
tra cristalli bruniti di vicoli
in disparte e luci precoci
sul minuscolo pullover
rossofuoco, e tu discreta
sussurri in confidenza i tuoi
segreti maliziosi coltivati
sottovuoto: foglia dopo foglia
i petali a brandelli con l’ultima
goccia di rugiada che resiste
sul muschio già cresciuto
e ci morde l’esistenza, fruscio
indistinto privato di nitida dolcezza
sul lucido bilancio senza clamore
nel labirinto cieco di rapide
emozioni, inconsapevole carezza
sul nostro instabile equilibrio stagionale.
BELOTTI Egidio
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Segnalazione per Merito:
UNA MONTAGNA CI VUOLE
Una montagna ci vuole, non fosse che per supporre
cantando ne scenda l’acqua che nel fosso mi scorre.
Noi, da San Grato, le montagne le vediam di lontano
(se sappiamo sostare e portare agli occhi una mano)
quando il sole, raggiante, la piana brucia più forte
e campi immensi riempie luglio di mais e di grano
e ricolma anche il cuore.
Lassù i giorni eguali e le ore,
fra declivi che non hanno mai fine se non per burroni,
spighe di pendula segale maturano piano
fra mulinelli capricciosi di vento e rovi gonfi di more.
Una montagna ci vuole, non fosse che per increspare
il limitare (perfetto troppo) a ventaglio del remoto orizzonte
e sapere che anche la Terra ha avuto sussulti, come l’uomo che soffre e corruga la fronte,
ove attizza ceppi d’albe e tramonti.
Soffron, su balze scolpiti, brandelli vuoti di baite
in un tempo (i vecchi – pietre fumanti nel sole – eccome lo sanno) che non ha più stagioni
e sogni di quiete marmotte e sentinelle di fanciulli attente
e fughe argentine a frotte e aguzzi campanili appesi al cielo
e d’organi diafane canne e limpide fonti soffocate dal gelo.
Lassù i giorni eguali e le ore,
fra giogaie che non più eterne hanno coltri di neve
(se non dove il sole le tinge d’un rosa più lieve),
fra corsieri, agili e fieri, incubi grondano (e morte) di rapaci bracconieri.
Una montagna ci vuole, non fosse che per avvistare
(rapiti) in volo aquile reali, nidi fra rupi scoscese,
sfide accese ai più gagliardi venti, becchi adunchi, artigli lucenti
e vincere mai stanche (fra cattedrali di pietra e di silenzi) sepolcrali candor di valanghe.
Là sotto il diavolo ha sepolto tesori, ingoiato case, tentato pastori, prosciugato torrenti,
scavato caverne, incatenato innocenti, inventato masche e seminato furori.
Là sotto Lucifero – orrendo – ha saccheggiato il “comando” (libro dal dorso vermiglio)
e con sadico piglio ha fatto ruggire, fra forre e serre, fatui fuochi ed epiche guerre.
Quei di lassù e noi della piana a reggimenti abbiam fatto le guerre.
Senza fiatare, a ranghi serrati, abbiamo servito con fedeltà ed onore
ché la penna nera, la cima gigante, l’aquila fiera, lo zaino pesante,
l’antico cappello, le verdi mostrine e il caduto fratello li portiamo nel cuore.
Una montagna ci vuole, non fosse che per issarvi
(non importa se a dorso di mulo e a forza di braccia la fatica è più greve) un’umile croce
ché la copra e la culli, in abbraccio d’amore, il nostro canto più lieve.
GALLI Giovanni
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Segnalazione per Merito:
A SCUOLA DA APOLLINAIRE
M Ombre non sono, fra gli alberi strani,
figure di nani;
la luna è più grande, più vaga la notte,
se questa è la notte
che segue l’ameno corteggio di Orfeo.
A Non è poesia, piovuta magia
carezza le labbra…
potessi fermare il silenzio
e contare d’un tratto sinonimi
molti, di gioia.
G Non più meraviglia:
la mano nasconde i ricordi,
solubili e persi
nel caldo fango dei fiumi,
nelle superbe contrade d’azzurro.
I Temi forse il romantico addio
dei fiori?
O cos’altro il cuore non dice?
E certo il colore dell’erba
fa invidia alle nuvole in alto.
A Si muovono rapidi i sogni
se adesso ferisce la luce del giorno;
per poco brontola il vento:
nascono e ancora
evangeliche forme gemelle.
A Ne sont pas détails mélodieux voix d’amour
BARTOLUCCI Pierubaldo
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...altre poesie partecipanti:
OSPEDALE
A te Dottore
che davanti al male
vorresti guarire,
portare la vita a chi…
si prepara ad andar
lassù.
Il grande vuoto
non trova rimedio,
il tuo cuore piange
muore , e spera.
Ti vedo come un
fratello…che non si
arrènde e sino all’ultimo
respiro lotta.
Il giorno copre
l’universo….
quando ritornerai
vedrai un letto
l’ombra è andata nel
vento.
ALTINA Oscar Antonio
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VENTO DI MARZO
Vento di marzo,
vento di primavera.
E’ scatenata la bufera.
Tornadi flagellano nazioni e città
cappe di fumo nero
oscurano il cielo.
Bufera di guerra.
Quanto spargimento di sangue!
E’ l’innocente che paga con la vita.
Quante lacrime versano,
orfani, spose e mamme!
Quanto orrore!
Quanta sofferenza!
Quanta miseria e stenti!
Esodi falliti.
Popolo senza speranza,
senza casa, senza acqua,
senza luce, senza alimenti!
Bersaglio dei cannoni
E sotto ai bombardamenti.
Quando il sole sorgerà
Per riscaldare i gelidi cuori
dei potenti?
Quando l’amore prevarrà sull’odio?
Fermiamo la guerra,
diamoci la mano
vogliamoci bene.
Su questa terra nulla ci appartiene.
PRATO Caterina
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GIORNO DI PRIMAVERA
Il sole all’improvviso
profuma d’infanzia
l’erba è ritornata distesa
come prima del tempo
e il suono della primavera
è di nuovo bambino.
Sento l’aria intorno al cielo
dolce della fragranza dei fienili
vedo l’acqua ancora bianca
lambire la campagna
mi scalda la luce del mattino
che rimbalza e luccica sui vetri
giocando in mezzo a un’aia.
Sono la primavera nei sentieri
a braccia aperte
sono il grano che rivive
sono il volo sinuoso degli argini del Po
sono rondine tra le rondini
sono il vento che riempie d’azzurro
della terra al cielo.
Vedo strade grandi
vedo l’anima delle donne confuse nel mercato
vedo gli uomini camminare curvati
vedo i loro cuori
ancora leggeri.
I balconi s’affacciano
le biciclette si rincorrono
e il viale al mezzogiorno si trasforma
di colori urlanti e giovanili.
E’ ritornata
è di nuovo arrivata con la sua aria allegra
è ancora tempo di ascoltare l’erba crescere
è ancora tempo di lasciare che la luce
mostri l’alba
e poi scivoli facendo capriole
verso sera.
E’ ritornato il tempo vero
e ingenuo
e libero
e fatto per lasciarsi vivere in un sogno.
GIOVANARDI Vanni
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FUNERALE DEL GRANDE ABETE
Abbattere! E’ stato deciso,
per il grande abete è condanna.
Dell’ultima estate per lui
questo è l’ultimo sole.
Protesa più in alto, nel cielo,
scruta la punta le cime dei monti,
lontano.
Quanto ho amato la tua verde frescura,
delle lunghe tue pigne il tocco di resina,
come ho amato sentirti il respiro…
Se solo avessi della magia
quel potere arcano incantato,
le tue radici estrarrei dalla terra
per portarti con me,
dove la luce confonde gli albori
in lunghi momenti d’assenza
e il sole s’attarda
nella notte senza ombre di tenebra.
Addio, non posso vedere,
addio… e tu ancora non sai.
Nel bosco, lontano, scappare!
Nascondendo ogni senso all’umano sentire
percepisco dell’albero il grido,
poi ancora più forte il silenzio
nel tacito osservar delle betulle.
Negli occhi del falco, attoniti, l’urlo
sulle ali distese ha raggelato il cielo.
Ascoltate voi faggi, nel bosco, e castagni
non sentite il dolore del tronco tagliato?
C’è un albero che muore.
Silenzio.
Non s’ode neppure una foglia frusciare.
Spadroneggia il motore mordendo e invadendo
segando, ritornando più forte a ruggire
riecheggia quest’eco in tutta la valle
portando la voce ai monti lontani.
Addio…
Eri gocce di resina
eri ombra d’estate
eri aghi sul prato di neve.
MANTISI Cristina
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LA VOCE DEL SILENZIO
Spegnete il canto degli uccelli,
colorate tutto di nero,
e andate via,
non voglio nessuno intorno a me.
Fermate le parole,
non voglio più le stelle,
non voglio più il sole,
ma solo un angolo buio
dove potermi rifugiare.
Fate silenzio,
andate via,
e chiudete tutte le porte
affinché nessuno possa raggiungermi.
Ho il cuore pieno di lacrime
e mi pesa così tanto.
La mia testa è piena di voci inutili
e sofferenti
che mi ronzano come mosche nelle orecchie…
Dio che tortura
Voglio star sola.
Non voglio più il bianco,
non voglio più il rosso,
non voglio più l’alba ma solo il tramonto.
Farò di tutto
per cacciare i ricordi
che si sono impossessati del mio cuore.
Sì,
li caccerò e sarò più forte
Ma ora basta,
non voglio più parlare.
Lasciate che le onde del mare
mi cullino
e mi portino lontano,
lontano,
dove nessuno potrà più ferirmi..
ARCIULI Emanuela
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CERTAMEN DI POESIA
TERZA EDIZIONEPamparato, 23 AGOSTO 2003
POESIE VINCENTI
BUIO
Mi basta vedere le stelle
nel buio nero della notte
così vicine quassù
che quasi le puoi toccare.
Mi basta vedere i tuoi occhi
che specchiano il buio dei miei
profondo più della notte
che è scesa nell’anima mia.
Mi basta vedere il tuo sguardo
che tutta mi avvolge di luce
e mostra un domani sereno
di viva palpitante speranza.
Mi basta vederti accanto
compagno di tutta una vita
vicino nel riso e nel pianto
con tenerezza infinita.
DABOVE MARINELLA
1° PREMIO
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“ADDIO”
La tristezza zufola fioca
e a ritmi arpeggiati si disperde.
E’ la certezza che per ogni altro addio
ci sarà sempre come ora
una rocca sperduta fra le boscaglie,
uno sguardo penetrante d’immenso,
una frase che ripercuote le tue lacrime,
tremanti di pioggia settembrina.
Spera con fervore
come la mia speranza percorre lo spazio.
Gioca all’amore
quand’anche il viandante si destreggerà a farlo.
Pensami come l’acqua fresca ai sassi,
le felci ondulanti al vento,
il tempo insinuo al destino
e le nostre albe saranno sereni giochi d’acqua
attorno alle barche sospiranti
su mille gocce di sale.
BELLONE SIMONA
2° PREMIO
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L’IMMENSO VUOTO DELLE NOSTRE CAREZZE
Sono piccoli angeli
nati a volte per sbaglio,
sono fiori sotto la neve
sbocciati nel vento
gelido della sera
e gettati allo sbaraglio.
Un figlio si schianta
sulle pareti di un tunnel
fatto di buchi inesorabili,
annaspando nel rimorso
di non avere concesso
all’anima un ultimo desiderio.
Un figlio si nasconde
nel buio di un anonimo cavalcavia,
nell’attesa brutale
di lapidare il mondo
con la noncuranza dei fragili.
Un figlio
lo puoi ritrovare
nella sala d’attesa
d’una sudicia stazione,
mentre nasconde con dignità
sotto due strati di rossetto
tutta la vergogna
d’essere macchiato come “diverso”.
Un figlio lo puoi rivedere
per l’ultima volta
disteso sopra un gelido
letto di marmo,
pilota della notte
che ha perso la gara con la vita.
Sono aquiloni abbandonati
nelle mani della sorte,
demoni senza peccato
che masticano chewingum e morte
per riempire l’immenso vuoto
delle nostre carezze.
BELLINI CLAUDIO
3° PREMIO
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