Una Poesia per Pamparato
POESIE PREMIATE:
Caleidoscopio
Schegge di perduti pensieri
si sprigionano,
in un caleidoscopio cromatico,
come spente galassie
di un infinito disgiunto.
Scivolano lentamente
desideri mai estinti
provocando
aritmie di impulsi
Fremono,
in un bisbiglio sommesso,
voci perdute
come sottofondo
all’assordante presente.
Cortine di gelo
occultano
empatie di affetti.
Si frantuma
su scogliere d’indifferenza
l’ultima angoscia
Giuseppe Perosino
1° Premio assoluto "Una Poesia per Pamparato" ed.2007
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Radici
Quando la terra più è dura del cuore dei superbi
strade lasciamo al vento e, a flebili sussurri, il campo.
Il campo (onde di galaverna crestate o d’antico sudore)
volti ha di gente che bussa, con garbo e a fatica, alla porta del cuore.
Il cuore, se callosa una mano lo sfiora e l’invita lontano,
la gola annerita risale pian piano e, nel buio tepore, attende
e vuole ascoltare chi, a cavallo d’un raggio lunare, nel comignolo scivola lento
e pianti e rimpianti porge alla fiamma e (mistero di Dio immenso) vorrebbe infine sostare.
Sostare è ruga profonda che, ai confini dell’ora solenne, tu scopri vermiglia
e ha scampo (eco preziosa e ribelle) all’adunca mano del tempo che urge, divora e scompiglia.
Fuori, nel composto letargo d’erbe e fanghiglia, lunghe e nostre fremono possenti radici.
Radici son coppi ricurvi che, dal gomito secco dei Bori,
con teneri occhi all’orizzonte tu cerchi
ché il sangue d’uno – alla lunga – è il sangue di tutti
e un avo materno ci nacque e, oggi, a vedere ci torna
che ancora ami il silenzio e la terra.
Di terra (asciutta credo) e di pietra ha il volto, d’umida terra il pensiero
e gli occhi d’acque azzurre fieri che han mai visto il mare.
Da sempre son le nostre donne il mare, il glauco mare immenso di silenzi (o d’esili sospiri)
ché, negli abissi, rade chetan burrasche e, appena, al sole vagiti tenui l’increspano e biondi figli.
I figli – un giorno – voce metton di terra (asciutta credo), di pietra il volto
e cessan di correre (uomini acerbi nella feria d’agosto) dietro cani fedeli e intensi tigli.
La fatica (retaggio d’uno che, prima della casa, già era) di schiena c’è dentro e di braccia
ma ogni sera, curvi e callosi un poco, a falce seduti la gettiamo nel fuoco.
Il fuoco ha l’ansito pesante e desueto il nome d’un (lontano ancor) parente che, tenue lucore,
senz’orme aizzando vien (da dove?) i cani aperti, a mezzo del cammin di fosche ore.
I tartufi, alti nel vento, non colgono odore e ombra all’uscio nodoso non sosta.
Il campo (onde di buio e d’inviolabili sussurri)
volti ingoia di gente che bussa, con garbo e a fatica, alla porta del cuore.
Giovanni Galli
2° Premio
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Fin qui
Fin qui, oltre la soglia del bar
si posa in cerchio
la tinta delicata della luce,
qualcosa come
una breccia che pullula
caparbia di là dei vetri,
un riflesso morbido del cielo
che tocca e scosta
la densità d’asfalto, parafanghi,
volti indocili,
dirada il sballare
di sguardi in solitudine.
Una purezza tenue
in sospensione
da casa a casa
che colora d’azzurro
finestre aperte in offerta
a labbra di parole,
a promesse di chimere,
prolunga il margine
sull’orlo dei dolori
incagliati nel tempo
Bruno Lazzerotti
3° Premio ex-aequo
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Idi di Marzo
Giorni come di Marzo
di miseri spiriti rivoltati
sedotti da un’estranea follia
che rapisce il respiro
al diuturno sorgere del sole.
Il tremolio inventato dal Grecale
che spira gelando la rugiada
mentre il guaire delle stelle
disvela un cruccio che grida
dalle Maremme dell’anima.
Forse un dubbio non fugato
dall’ermetismo della notte,
forse solo un sorriso smarrito
nel divenire della sera.
Ora non c’è più nulla
che riesca ancora ad emozionarti
non c’è più niente
che vada dritto al cuore:
magari un pensiero, un atto,
una parola affettuosa.
Ormai tutto è capovolto
senza la liturgia dei soliti gesti;
queste vite ingoiate dall’alba
inquietano le lune d’Africa
e l’amore è lontano, perduto
tra le valli dormienti
dove tutto tace.
Gaetano Pizzuto
3° Premio ex-aequo
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Si perde in salsedine l’Arno
"alla fine del viaggio
su inesplorato tombolo
sensazioni di distacco"
e
la pioggia alla Foce
- le correnti scalfendo –
abbraccia il tremolare dell’onde
tra i retoni
(nasse piangenti quadrate
sospese agli estremi di una croce)
si spegne un refolo:
sui sassi umidicci del molo
- con l’appannato luccicare di una squama
e l’aleggiare cieco di una piuma –
sgocciola – invisibile
a losanghe un tessuto
dissetando un mare oscurato
oltre il vetro – con velo di un ombrello –
decollo nell’Ignoto:
rimane
- sulla mia tapparella scrostata –
la distratta eco d’un saluto
esco dal mio guscio grigio
e vivo
col Sole malaticcio dell’Inverno:
alla corda inzuppata del pozzo
sonnecchia il secchio:
altalenando colmo
trastulla
- minuscola – una patina di ghiaccio
e
un albero beccheggia sul Fiume:
radice slavata
s’impiglia a viscida chiglia:
docile il tronco
vanisce
oltre l’arco dell’acqua torba
nel Cielo pomice di Luce un’Illusione
e
la mia navicella
ri-torna e attracca – con un filo di raso –
alla lampada accesa
del lampadario
e la pioggia la pioggia
tormenta
- ancora –
l’aria fredda
e
in opaca salsedine – nel Tramonto –
l’Arno si perde…
A Pisa, 18 gennaio 2006
Giovanni Bottaro
Segnalazione per merito
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APPENDO
Appendo
alla sfera
del tempo,
ogni mio
dolore.
Ad ogni
stagione,
indosserò
nuovi sentimenti.
Luigi Golinelli
Segnalazione per merito
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CERTAMEN 2007, tutte le poesie:
NATALE 1936
C’era una strada, sassosa e scoscesa
c’era un silenzio come d’attesa
c’era una siepe, contorta, e nera
fiorita di trine,
come biancospino a primavera.
La neve attorno, tutto un candore,
una speranza, lieve nel cuore.
Nel cielo miriadi di stelle
sospesi bagliori, come fiammelle.
Una più grande, nell’aria glaciale
annuncia un altro NATALE!
Ai rintocchi della campana
s’allunga il passo, la chiesa è lontana.
Struscìo di passi sulla neve gelata
c’era un’atmosfera come ovattata.
Siamo arrivati: luci, candele accese,
tremule nell’aria, come sospese.
L’organo suona, s’intona un canto,
nel cuore, greve, sentore di pianto.
C’era un arcangelo, con un berrettino
fatto di lana, con un nastrino
ed un ponpon tutto celeste,
a vigilare su un povero Presepe.
C’era sulla paglia il Bambino adagiato,
io gli chiedevo: ti senti amato?
Tu che puoi, per piacere,
fa che qualcuno mi voglia bene!
C’era nell’aria odore d’incenso,
dentro, speranza, paura, tormento.
Andate in pace, la messa è finita.
Indugio, nel sogno estraniata.
Mi scuota un duro strattone:
piegati nella genuflessione.
C’era una strada, tutta in salita,
passi pesanti, d’infanzia tradita
non mi ha ascoltata; eppur ho pregato
il sogno è finito, è calpestato.
Attorno, ora vi è solo squallore
silenzio, grida, infantile dolore.
Lacrime, riarse nell’aria, di ghiaccio,
vorrei annullarmi, sparire;
sospiro, riprendo il mio viaggio.
C’era una strada tutta in salita
allora, non sapevo, era per tutta la vita.
C’era …oh sogno mio lontano
se mia madre mi avesse tenuta per
mano …
BOGLIO CELESTINA
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VETRO
A volte
Lungo la strada
Della tua esistenza,
ti senti
come un vetro di Murano,
fragile e trasparente …
Nasci lentamente
Dal soffio di un vetraio
E diventi un fiore,
un calice,
una goccia.
Ti senti felice
Posato su un mobile
Di una casa antica
Ma se più mani
Ti sfiorano,
vivi nell’angoscia
di frantumarti.
ARENA MAURA
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AMARE VUOL DIRE...
Quando ami una ragazza
non tradirla, con l’amore
non si scherza mai.
Amare vuol dire ….
essere sinceri dentro,
è inutile fare la prima
volta:
“ E poi diventare nessuno”
ALTINA OSCAR ANTONIO
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PIANOFORTE
Le mani che scorrono suonando note indimenticabili,
di un pianoforte antico.
La passione si risveglia alle note che volano come una farfalla,
la melodia il ricordo dell’amore che sfugge.
L’amore di un tempo vivo nel mio cuore,
note che volano come il vento,
indimenticabili nel tempo.
MAINERO JOLANDA
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DIARIO INCOMPLETO
Ferma la tua mano.
Non scrivere la parola fine
sull’incompleto diario
del tuo viaggio.
Si nasce, si soffre,
si lotta, si muore.
Su pagine sempre dischiuse
nuove parentesi
si aprono e si chiudono.
Vivere vuol dire
non desistere di sperare,
non consegnarsi all’abbandono.
Per ognuno
c’è un raggio di sole
in un cielo
plumbeo di burrasca.
Per ognuno
c’è un refolo di vento,
nel soffocare quotidiano.
Per ognuno
c’è un filo di luce
nel buio più cupo.
Ammira il cielo
sereno dopo la tempesta,
guarda attentamente le nubi che fuggono,
il sole che rispunta all’alba
disperdendo
le ombre cupe della notte.
Ascolta la voce del silenzio
ed i palpiti del tuo cuore.
Cogli un fiore,
ponilo fra le pagine
tristi del tuo diario.
I tuoi tormenti,
le scottanti disillusioni
si trasfigureranno allora
in arcobaleni di speranza,
e anche tu comprenderai
che vale ancora combattere.
PEROSINO GIUSEPPE
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UNA SERA D’APRILE
Senti come soffia lieve questo vento
con l’ironia discreta di chi passa
sfiorando le cime del cuore.
Senti come scivola fra il tempo
quest’aria rosa ornata di te
ed i tuoi occhi trasfigurati di stella
tagliano come diamanti la notte.
Sembri algida, tanto lontana
laggiù, stagliata nell’orizzonte
tra il mistero profondo d’un pensiero
e l’anima mia è silenziosa
come il chiostro di un’abbazia.
Un sera d’Aprile
ebbra di calici colmi del tuo sorriso,
parole accarezzate, passi lenti
quasi a fermare quegli attimi
temendo che i minuti, le ore
avessero le ali sfuggenti d’un gabbiano.
Io con te e tu con me,
tra le bianche gardenie nascoste
in quella dolce sera d’Aprile.
Ricordo ancora la tua voce delicata
quando dicesti che mi amavi,
mentre il cielo infuocato dal tramonto
arrossava il tuo sguardo di donna.
PIZZUTO GAETANO
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FUORI DAL QUADRATO
Osservo le persone
al di fuori del quadrato.
Frenetiche, infuriate, stressate, nevrotiche,
con la vita che gli corre davanti
e vorrei gridargli, urlargli contro
perché la vita non li aspetta
e irripetibili attimi non torneranno,
non per loro,
non per me.
BATTAGLIA CRISTIANA
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IL FILO SI ALLENTA …
Quanti sogni,
quanti castelli costruiti con la fantasia
di una spavalda gioventù
che danza giuliva tra stagioni di fiori e di colori!
Lentamente uno dopo l’altro
i sogni si dissolvono,
solo un ricordo resta, non per molto però,
anche quello tramonterà!
Il tempo passa,
gli anni scorrono in un baleno,
ti fermi, pensi, interrogativi, tenui illusioni,
mentre l’orizzonte scompare nel buio della sera!
Una sola certezza:
si allenta il filo della speranza,
si allenta il filo di una vita
in gran parte ormai vissuta!
CAMAGLIO PIERA
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CASA D’AGOSTO
Casa d’agosto ho aperto di nuovo
al sole lasciando il coraggio d’entrare
col calore dei raggi d’estate
a ritemprare le fredde pareti invernali.
Una nuova stagioni di voci,
altre serate seduti sul prato
intorno agli effluvi di spezie
di una grolla di caldi ricordi,
tra brevi silenzi ognuno raccolto
dietro il filo invisibile
di un pensiero fugace. Casa d’agosto
per riaprire armadi e cassetti,
ritrovare l’odore del legno
a lungo rinchiuso nel buio del letargo
e piccolo ragni in tacita attesa.
Cartoline degli anni passati
ho scoperto nel vecchio scrittoio legate,
quasi nascoste, timide, schive
nella loro esistenza obliata.
Le avevi scritte tu, sul finir della vacanza,
le lettere incerte prima, di bimba,
poi, più grande, già nel tratto deciso.
Un breve diario d’agosto
quand’anche chi era a noi caro
respirava le rose e la brina sul prato,
l’attesa frescura di tramonti rosati.
Inspiegabile, poi, qualcosa è cambiato
e realtà inconfutabile è stato ricordo.
Malinconia di un sogno che albeggia,
muto silenzio che vaga in uno spazio bianco.
Come vorrei, senza senso apparente,
che casa d’agosto incantasse i momenti,
come vorrei chino il tuo capo vedere
mentre la mano disegna incerte parole,
senza fretta, per rivivere ancora estati finite.
MANTISI CRISTINA
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ANGELINO
Ogni giorno
posava se stesso sulla panca di legno
fuori dell’uscio,
ruotando i suoi occhi curiosi
sopra folti mustacchi curati,
abbracciati da volate di fumo
del solito sigaro,
fedele compagno di vita.
Mentre rideva
dei miei affanni di bambino,
mi parlava di un mondo
che non poteva girare
intorno ad un sole,
e di inutili fatiche per osservare,
in cielo,
improbabili satelliti.
A mezzogiorno
i rintocchi della campana
lo spingevano dentro casa,
per incrociare gli occhi
della compagna di una vita,
silenziosa e attenta
nel manifestare
il rispetto di un amore.
La sera,
prima che la notte
posasse il suo sudore
sulla panca di legno,
sottovoce,
accennava a vecchie melodie,
note di ricordi nascosti
sotto il suo vecchio cappello.
Più tardi,
ruotando ancora gli occhi curiosi,
abbracciava la notte,
salutando veloce
e indirizzando l’ultima volata di fumo
verso l’uscio di casa.
ODASSO PAOLO
2° PREMIO
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VIVERE
Leggi la tua vita
pagina dopo pagina;
giorno dopo giorno,
scrivi la tua vita.
Libro già vissuto,
ma non ancora terminato.
Pagine scritte e vissute da te,
ma lettura estranea ai tuoi occhi.
Momenti che non sembrano tuoi,
non sembri tu.
Eppure sei tu,
autore unico di un manoscritto “eterno”.
“Dopo di te chi lo scriverà?”
Chi ha letto con te quelle pagine,
chi da te ha avuto ciò che di meglio,
di più bello
il tuo cuore può dare.
Saranno loro a continuare il tuo libro.
Lascerai il tuo segno,
la tua firma,
nei cuori di chi
per te continuerà quel libro.
BERTAINA SERENA
1° PREMIO
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GRAFFI
Graffi profondi lasciati dalla vita
che giorno dopo giorno fanno dolere il cuore.
Non grosse ferite, ma sol piccoli segni
che coll’andar del tempo ti fan sentir maturo…
Son come passi su sabbia calpestata
che con le onde cancella svelto il mare.
Sembra non restar nulla, però se sono sbagli
ti lascerà, il passato, in bocca un gusto amaro…
TARUFFI TINTI GRAZIELLA
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L’AMAREZZA UN GIORNO VIENE…
L’amor non muove solo il sole e le altre stelle…
Pensavo di scrivere
parole di miele,
per dir dei tuoi occhi
al mondo che ascolta.
Volevo urlare l’amore
all’azzurro del cielo.
Mi ritrovo
a versar lacrime amare
sul fiore appassito
della mia speranza
mentre nel cristallo
del cuore infranto
si insinua nuovo
il dolore.
Il rifiuto del tuo sguardo
a cui avevo affidato ogni verbo
mi affonda in acque di agonia,
mentre spetto invano
il conforto della pioggia.
Perché rombi di tuoni
e squarci di lampi,
nel paesaggio in tenebre
nascondono la voce del sole
che non voglio sentire.
Ma gli uccelli in stormo volano
fuor dalla mia finestra
cinguettando un canto d’allegria.
Allora dimmi tu
con la tua voce soave
se odiare l’amore
o amare l’odio.
AVAGNINA GIANLUCA
3° PREMIO
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