È
morto a 84 anni nella sua casa americana l’intellettuale sovietico più
celebre e controverso, fu dissidente e cantore del regime
Evtushenko posa nella sua casa di Tulsa in Oklahoma negli Stati Uniti, nel 2007 Il poeta russo è morto ieri all’età di 84 anni
In Russia un poeta è più di un poeta». L’incipit del poema del 1965 La centrale idroelettrica di Bratsk è
stato forse il verso più famoso di Evgheny Evtushenko, il suo manifesto
poetico e il suo programma di vita. La morte del poeta, nell’ospedale
di Tulsa, Oklahoma, dove insegnava dal 1991, ha già riacceso la polemica
che l’ha accompagnato per tutta la vita. Per i suoi ammiratori, russi e
occidentali, è il più grande poeta russo del dopoguerra, l’erede di
Majakovskij e Pasternak (accanto al quale ha voluto venire sepolto), un
eroe del dissenso, un Nobel mancato.
Per i suoi critici è un abile
assemblatore di prolissi versi di attualità, un narcisista vanitoso e
avido di riconoscimenti, un ambiguo servo del potere e, forse, anche un
informatore del Kgb. Ma sicuramente è stato molto più di un poeta, e la
sua morte, a 84 anni, mentre si preparava a celebrare con una tournee
nei Paesi dell’ex Urss che doveva iniziare dal Palazzo dei congressi del
Cremlino, chiude forse per sempre un’epoca in cui in Russia i poeti
erano politici, modelli da imitare, rock star, dispensatori di verità e
distruttori di regimi.
Nella sua dacia di Peredelkino, il famoso
villaggio degli scrittori ormai inglobato nella metropoli, tra cimeli
come disegni di Chagall e Picasso, c’è anche un ritratto di Evtushenko a
opera di David Siqueiros, con una dedica che forse è il miglior
riassunto del personaggio: «Questo è uno dei mille volti di Evtushenko. I
rimanenti 999 li dipingerò un’altra volta». In 70 anni di letteratura
Evghenij Aleksandrovich Evtushenko ha scritto migliaia di righe in versi
e prosa, spaziando a 360 gradi tra argomenti e stili: poesie d’amore,
poemi autobiografici e storici, canzoni e racconti. Ha girato e
interpretato film, dipinto e fotografato, dedicandosi a ogni argomento:
donne, politica, guerra, storia, con una facilità di componimento che
gli permetteva di apparire in prima pagina della Pravda, accanto
all’editoriale. Ha scritto di Cernobil e dell’Afghanistan, della crisi
di Cuba e della perestroika, di Stalin e di Gorbaciov, spesso con punti
di vista opposti sullo stesso argomento.
La sua statura letteraria è
sempre stata vista con scetticismo, ma la sua popolarità era immensa.
Nato nel profondo della Siberia, iniziò a comporre da ragazzo, e divenne
famoso negli Anni 50-60, quando nella Mosca del disgelo kruscioviano la
poesia era diventata un fenomeno di libertà, una manifestazione di
piazza, una subcultura alternativa all’arte ufficiale. I poeti leggevano
le loro poesie ai piedi il monumento a Majakovskij, e radunavano folle
all’auditorium del museo Politecnico, con gli ammiratori che li
portavano in trionfo sulle spalle. Erano l’equivalente delle rockstar, e
Evtushenko, provocatorio ed eccentrico non solo nei componimenti, ma
anche nei vestiti e negli atteggiamenti, era l’indiscusso numero uno.
Quell’epoca
finì, insieme al breve periodo delle speranze di un socialismo dal
volto umano. Ma Evtushenko rimase, in un esercizio di equilibrismo che
forse fu la sua opera principale. Denuncio ad alta voce gli «eredi di
Stalin», difese il romanzo Non di solo pane di Vladimir Dudinzev
(che gli costò l’espulsione temporanea dall’Istituto letterario),
raccontò l’eccidio degli ebrei a Baby Yar a Kiev, un componimento quasi
totalmente censurato perché era vietato parlare di Shoah, condannò
l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 e difese i dissidenti. Nello
stesso tempo dedicava poemi a Lenin e alle centrali idroelettriche,
denunciava il militarismo degli americani e il pacifismo dei russi («Se i
russi vogliono la guerra» divenne quasi un inno), proclamava la sua
fede nel socialismo e nella grande patria russa. Poteva permettersi
molto più di chiunque altro: era uno dei pochi sovietici a viaggiare
apertamente per l’Occidente, cambiava mogli (quattro, con cinque figli),
sfoggiava giacche indicibili, si permetteva di fare l’americano a
Mosca, era il volto «liberale» del Cremlino. Iosif Brodsky lo accusava
di essere al soldo dei servizi: «Come poeta è pessimo, come essere umano
peggio». Evtushenko aveva preso le distanze dal futuro Nobel: «Sarà
dimenticato il giorno dopo», una frattura che cercò inutilmente di
rimediare per tutto il resto della vita.
Una vita di amori, passioni
politiche - ha incontrato Robert Kennedy e Fidel Castro, Brezhnev e
Nixon - e compromessi. La perestroika lo vide in prima fila, eletto
deputato a furor di popolo nelle prime elezioni semilibere del 1989. I
ragazzi che oggi scendono in piazza nei pressi del monumento di
Majakovskij probabilmente non l’hanno mai sentito nominare. Per i loro
padri resta il simbolo di un’epoca.
Anna Zafesova, LaStampa
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