Poesie di...
Roberto Demontis
L’inizio della ricerca
Candido cielo notturno d’estate,
qua e là da un lenzuolo di nubi
pezzato su cui giacciono angioli
gaudenti alla frescura notturna,
poveri angioli, dai cui occhi
stillano stelle, or rischiarando te
su cui timida riluce la luna.
Come posso trovar lieve pace
Io, che hai condannato al dolore
In Terra senza risparmiar lagrime,
se neppur agli angioli concerne solo il riso?
Come piovon stelle dal candido ciel
Vien latente il pianto dagli occhi
Nelle solitarie notti d’estate.
Quale caro conforto al dolore?
Quale eterno sollievo celeste?
Male diffuso il cosmo pervade
In ogni dove e in ogni tempo.
E perché con ulteriore condanna
Aggravi la pena? Con l’illusione
D’una pace serena dopo la morte
Nella vana ricerca d’un vago bene supremo?
L’uomo che pria viveva d’amore
E guerra, poscia, represso l’animo,
represso il corpo, latebra erra
cercando, e cieco, alcun trovando
in Terra, al ciel rivolge il guardo
ponendo sollievo celeste d’uman
miseria dopo l’inutil morte.
Ma nell’incoscio ascoso s’annida
Istinto, il quale, vital passione
Nutrendo e forgiando tema mortal,
tempra possente volontà di vita,
giacché, se il soffrir all’uomo solo
concerne, apprezza brevi istanti
chè la vita merta.
Ed è come una meschin ciurmaglia
Che tra i flutti burrascosi vaga
E latitante fugge il periglio,
finché, gettata l’ancora, gettata
ogni speme, un’isola l’accoglie,
lì, fatal presagio, trova per caso
un premio ch’era follia sperar.
Così l’uomo erra anelante in ciel
Dolce riscatto, non scorgendo porto
Non scorgendo spiaggia in cui sostare.
Ma quanti anfratti ascosi vita
Riserva, ed ella dolce appare
A chi v’approda.
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L’ambiguità dell’Amore
Alor che la leggera brezza cullante
Cangia rapida a burrascoso vento
Né a giolito convien restare errante,
alor non ha senso cosmico tormento.
Alla riva sì ratto s’appressa l’amante
Trascurando la meta, che in pavento
Più non vede comune teda brillante
E teme’n minace dromo pentimento.
Così l’edace drudo, il cui amore
Non può certo soggiacere a oggetto
Ma’n eterno castigo dimora’l core
A perire tra i flutti costretto
A perire in atroce dolore
Non raggiunge la costa e muore
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La passione
Alor che incrocia guardo il guardo
E morde lenta il labbro rubente
Per ascosa passione impotente
Avvampo nell’intimo e ardo
Né temendo voce alcun detraente
Vicendevoli sorrisi attardo
Con un adone dal ceruleo sguardo
L’alcool inebriando la mente.
Così poscia in segreta alcova
Godo dei sublimi frutti violati
Che più perversa preservò natura
Imponendo uman morale nova
Sicché d’altri animal più famati
Fosse lor voluttà carnal più dura.
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La notte
Sì duro che’l dì risveglio attardo
È il diurno banale levarsi
Ad un tristo sol ch’eterno deride
Una monotona vita mendace
Sicché trascorro per calli follati
Un’esigua comune esistenza
In attesa di munifica notte.
Notte che ogni segreto custodi
Che romite fantasie soccorri
Cedendo un silenzioso conforto
Ch’adagia spirto a mondo bramato
Che dimora in effimero sogno
Che per Elio crudel tosto oblio
Lasciando’l vago ricordo d’un abbraccio
L’uno all’altro amanti
In reciproco appartenere
Amandosi completan
La vitale essenza
Che dicono amore
Per la qual cosa al sonno
Abbandonati divampa
Incessante eterno ardore,
che se si bilanciano la parti
cangia rapido a furore
a cagion del cui intime fibre
inarrestabil divorando
s’annienta all’essere
la capacità d’amare.
Roberto Demontis